Quando fai una cosa, sei bravo? Nel tuo lavoro sei bravo? Sei bravo o credi di esserlo? O magari pensi di non essere capace.

In psicologia del lavoro:

Il senso di autoefficacia, è definito come una credenza generativa derivante dalla sensazione di essere competenti nell’eseguire compiti specifici in contesti specifici.

Credo di saper fare il padre. Credo di saper andare in Canoa. Credo di saper suonare la chitarra. Quando noi ci apprestiamo ad un compito nuovo, sulla base delle risorse disponibili e sulla base delle richieste ambientali, il nostro senso di autoefficacia agisce sulla prestazione finale. Ma c’è un piccolo errore.

Non sono le risorse disponibili e le richieste ambientali che determinano la prestazione; ma la nostra percezione sulle risorse che crediamo di possedere e la nostra percezione delle richieste ambientali. Se pensiamo che le richieste ambientali siano basse e le nostre risorse/competenze alte allora il nostro senso di autoefficacia sarà alto.

Il senso di autoefficacia alto è una molla necessaria all’attivazione comportamentale, perché quando crediamo di essere totalmente incapaci a fare qualcosa, allora quel qualcosa nemmeno proviamo a farlo. Dai colloqui che faccio, non è raro però che emergano sensi di autoefficacia irragionevolmente davvero alti.

La difficoltà del compito viene sottostimata e le proprie capacità sovrastimate: questa relazione determina anche inattività comportamentale: “lo posso fare in qualsiasi momento. Sono pronto”. In questa condizione non ci si interroga su quali sono le reali competenze possedute e su quelle che sono le richieste prestazionali del contesto.

Da dove spunta il senso di autoefficacia?

Il nostro senso di autoefficacia non si matura solo sulla base di predisposizioni caratteriali che orientano la nostra esperienza ma si rimodula giorno dopo giorno grazie ad un continuo confronto con se stessi e con gli altri.

Alcune ricerche descrivono il senso di autoefficacia diffuso sulla popolazione in generale. Queste ricerche osservano come ognuno di noi crede potenzialmente di essere un po’ più bravo degli altri. Paradossalmente sembra come chi in realtà sia più incompetenze creda di essere più competente di quello che è davvero, soprattutto nei compiti meno specifici e più generali.

La domanda da un milione di dollari è: “se siamo tutti più bravi, chi è più scarso?”.

È come se l’incompetenza ci renda ciechi. Se sono incapace di riconoscere gli errori che commetto come farò a correggerli? Se sono incapace di riconoscere gli errori, perché se ne fossi capace li riconoscerei, come faccio a capire di non essere poi così bravo? In questa condizione di stallo cognitivo, è ovvio che ci si percepisca bravi, perché l’incompetenza ci rende metaforicamente ciechi.

Non è raro infatti, che le persone con bassi livelli di competenza generali e specifici credano di poter adeguatamente fare più lavori anche molto diversi da loro sintetizzabili nella parola: “TUTTO”.

Dietro la parola tutto c’è in realtà abbastanza poco. Ci si riferisce ad attività con un basso livello di competenza richiesto. Chi dichiara di poter fare tutto, in realtà ammette di poter fare poche cose e neanche molto bene. Infatti se qualcuno conosce i nomi delle piante, come si potano, come si concimano, come si riproducono, ecc… non dice che può fare tutto ma che può fare il Giardiniere.