Non mi piacciono i bambini al cellulare. Secondo me, fare stare i bambini al telefonino è pericoloso.

Quello che dico è: “daresti un coltello a tuo figlio anche se piange?”. Il cellulare è un coltello al cervello.

Per questo oggi sono stato ad un convegno di medici e psicologi a Palermo.

È stato presentato il progetto STOP PHONE (dettagli qui) di Roberto Gambino, Angelo Miraglia.

Si parlava dei rischi che corrono i bambini che usano e abusano di cellulari e tablet.

Si stima che il 95 % dei bambini di due anni usino regolarmente il cellulare. Mia figlia ha tre anni e come da statistiche lo usa già da un anno.

Non sono mai stato uno di quei genitori che ne fa vanto: tutt’altro. Ogni volta che mia figlia prende il cellulare mi infastidisco e cerco di distrarla con altro. Non ho mai detto: “mia figlia è troppo brava, già ha due anni usa il cellulare”. Anzi, è una cosa che non ho mai approvato e non me lo chiede mai. Lo chiede a tutti ma non a me.

Non c’è niente di difficile ad usare il cellulare: sono progettati a misura di scimmia.

Allora, non approfondirò qui i rischi per la salute fisica, non parleremo di occhi storti, onde elettromagnetiche, potenziali danni neurologici, ecc… ecc…

Quello che mi piacerebbe condividere sono piuttosto i rischi per la salute psicologica e sociale.

Tutti noi impariamo attivandoci nel fare cose in previsione di ottenere ricompense desiderate. Per fare questo organizziamo inconsapevolmente piani mentali, raccogliamo informazioni, ci esercitiamo, ci sforziamo, falliamo, riproviamo e poi ci godiamo la gratificazione quando e se ci riusciamo.

Tutte queste cose anche se non lo ricordiamo le abbiamo imparate da bambini e oggi i bambini fanno molta più fatica ad impararle.

I bambini di oggi con un dito possono provare immensi piaceri, quando lo desiderano e senza necessariamente dover comunicare con gli altri i loro bisogni ed i loro desideri per raggiungere i loro scopi.

In poche parole, il rischio é che non imparino adeguatamente a comunicare e a negoziare aspettative e richieste: “mamma, il cellulare”. E per un po’ la mamma può farsi i fatti suoi.

Nel frattempo il bambino non capisce che la vita è fatta di attese e frustrazioni.

Per farla breve, anche la televisione stonava i bambini, ma almeno lo faceva ad orari prestabiliti.

Mi ricordo benissimo che per vedere il mio cartone preferito dovevo aspettare le 6 di pomeriggio. Alle 3 non c’era e tanto meno c’era la sera. La sensazione di non poter soddisfare i miei bisogni la ricordo benissimo e soprattutto mi ricordo benissimo quanto mi impegnavo per non annoiarmi. Ognuno di noi, dovrebbe ricordare benissimo che per non annoiarci e divertirci dovevamo prima accendere il cervello, capire cosa volevamo e metterci d’accordo con gli altri. Una volta sono diventato folle. Ero da mia nonna e mi ero addormentato. Mi piaceva tantissimo il telefilm di kiss me licia che facevano verso le 8 di sera.

Quella sera me lo sono perso perché mia madre e mia nonna non mi hanno svegliato. Ero piccolo ed appena mi sono svegliato il telefilm era finito: ci sono rimasto davvero male. Quando ho chiesto a mia madre: “perché non mi hai svegliato”, mia madre mi ha detto la prima cosa che gli è passata per la testa: “non l’hanno fatto perché c’era sciopero”. Quella volta ho imparato pure sta parola.

Con gli altri abbiamo imparato a negoziare a prenderle e a darle. Abbiamo imparato quando le nostre richieste sono ragionevoli o irragionevoli, possibili o impossibili.

Oggi, un bambino con il suo cellulare potrebbe pure pensare di non avere bisogno di nessuno.

Oggi facevano riferimento alla sintomatologia che manifesta un bambino che usa troppo i cellulari: è la stessa manifestata dai bambini autistici. Fortunatamente la chiusura da cellulari è reversibile.

Con gli altri abbiamo imparato a regolare le nostre emozioni: ad essere tristi, arrabbiati, ansiosi, invidiosi, gelosi, ecc…

Il rischio più grande potrebbe essere quello che i bambini che abusino  dei cellulari non imparino e regolare la loro emotività e ad affinarla per avere una vita ricca e significativa.

Sembrerò drastico ma non credo di esserlo.

La maggior parte dei disturbi psicologici ruotano intorno all’incapacità delle persone di riconoscere e gestire quello che provano. Questo può avvenire in tutti i contesti educativi ed in ogni ceto e classe sociale. Il rischio ulteriore è che però in alcuni contesti è ancora più difficile recuperare le mancanze in altri contesti: scuola, doposcuola, circoli, palestre, parenti, amici, ecc…

Tra gli interventi di oggi, non mi ricordo chi, tra il Professore La Barbera o l’Assessore Roberto Lagalla, ha ricordato di quando si criticavano i ragazzi che per fare una ricerca copiavano dall’enciclopedia. Eppure, rispetto ad oggi, anche quei ragazzi che apparivano scarsi, avevano delle competenze non indifferenti. Prima di tutto dovevano almeno alzarsi dal divano e poi cercare i libri giusti. Dovevano leggere e capire cosa e come copiare. Oggi con un click si stampano direttamente la ricerca.

Come suggeriva Roberto Gambino, una cosa da non trascurare è la formazione delle relazioni primarie.

Immaginate una mamma che mentre allatta sta al cellulare e che non guarda mai in viso il proprio piccolino.

Quando imparerà quel bambino a sentirsi amato e ad amare?

Lo ammetto, quasi tutti facciamo una vita molto frenetica. Molti di noi passano poco tempo in casa con i propri figli.

Per questo motivo mi impegno a riempire di qualità il mio tempo con loro.

Con me non si guarda il cellulare. Con me si gioca alle costruzioni. Si colora. Si riparano le cose. Ci si diverte e ci si arrabbia. Si piange e si ride. E mai per farli smettere di piangere  o per farli felici gli darò il mio cellulare.