Depressione? Prima di parlare della depressione che potrebbe fraintenderci dovremmo parlare della Tristezza.

La tristezza è un’emozione di base che può degenerare nei casi più gravi in una depressione cronica ed intensa.

A tutti noi capita di essere tristi. La tristezza non è altro che un’emozione spiacevole determinata dalla sensazione o dalla percezione di aver perso qualcosa.

Praticamente, se ti do una cosa sei gioioso se te la tolgo sei triste.

O meglio, per essere più precisi e semplici, se pensi di aver guadagnato qualcosa provi gioia; se pensi di aver perso qualcosa sei triste. Se pensi che guadagnerai qualcosa ti gasi, se pensi che la perderai sei triste. Se credi che l’avrai persa per sempre e niente potrà sostituire la mancanza, le cose diventano un po’ più serie, gravi e complicate.

Ok? Così dovrebbe essere facile. Quindi la tristezza è utile. Ci ha permesso come specie, di poter preservare quello che abbiamo e che costruiamo, facendoci evitare di comportarci in modo da concludere poco nella vita. Perché allora diventa un problema? Ecco, qui le cose diventano un po’ più complicate. Potremmo avere delle disfunzioni neurologiche e neurochimiche personali ma potremmo anche percepirci come deboli e incompetenti o avere addirittura irragionevoli aspirazioni. Lì scatterebbe un interruttore psicologico automatico che ci sottometterebbe alla nostra tristezza.

Ad esempio. Certe volte penso che mi sarebbe piaciuto fare fisica e studiare l’universo. Magari potrei essere diventato un astronauta. Ormai è troppo tardi. Non per questo però mi deprimo. Ragionevolmente capisco che so fare altro e che mi piace anche altro. Inoltre mi soddisfa adeguatamente guardare un bel documentario di Stephen Hawking.

Molti dicono: “si, ma mia madre non tornerà mai più”. E certo. Si chiama vita.

Tutti noi siamo depressi quando subiamo un grande lutto. Ma perché la stragrande maggioranza delle persone  ad un certo punto stanno meglio e pochissime invece no?

La vita si gioca su più aree e livelli su cui provare gioie e gratificazioni. Se ad un certo punto una di queste diventa dominante ed esclusiva, come ad esempio quella familiare, sarà sicuramente più difficile trovare nuovi stimoli e nuove possibilità di benessere.

La notizia positiva è comunque che il nostro organismo è una macchina progettata per stare bene; non per stare male: come molti pensano.

Come rimarginiamo automaticamente le ferite più lievi, anche il nostro umore tende ad un equilibrio.

Quando siamo tristi dovremmo quindi capire perché lo siamo. Non è banale.

Perché un trasferimento lavorativo fa triste uno e felice un altro?

Il primo pensa: “oh no! lascio i miei amici che amo e che mi amano. Con loro sono forte”; l’altro potrebbe pensare: “evvai, finalmente potrò abitare un posto civile e avrò finalmente la possibilità di esprimere  il mio potenziale”.

Inoltre esistono varie tipologie di tristezza. Le più frequenti sono: la tristezza da senso di colpa, da autocommiserazione e da commiserazione. Ci sentiamo in colpa quando pensiamo che avremmo potuto fare qualcosa perché ne saremmo stati capaci. Ci autocommiseriamo quando pensiamo di essere degli incapaci e  commiseriamo il mondo quando pensiamo che quello che abbiamo perso è per un ingiustizia della vita.

Quando sono stato bocciato al primo anno di liceo ho pensato che era un ingiustizia e commiseravo la scuola ed i professori. Oggi invece mi sento un po in colpa perché penso che avevo la capacità di fare di più e sopratutto di comportarmi meglio. Se pensassi che sono scemo e sono stato bocciato per questo sarebbe invece una tristezza da autocommiserazione.

Sinteticamente non è quello che succede a condizionare le nostre emozioni ma piuttosto quello che pensiamo che stia succedendo. La tristezza non è esclusa da questo giochetto.

Spesso la tristezza segue condizioni preesistenti di ansia. Non è raro che  persone eccessivamente ansiose ad un certo punto diventino depresse. L’ansia inibisce i comportamenti attivi per farci evitare potenziali punizioni. Alla lunga però alcune persone cominciano a pensare a tutte le cose che si sono perse per colpa della loro ansia e a quel punto si deprimono.

Spesso sono trascurati i vantaggi secondari della depressione: sopratutto quelli iniziali. Quando una persona è da poco tempo depressa, chi gli sta vicino gli dice: “non ti preccupare, riposati, stai a letto. Ci penso io”. In poche parole all’inizio la depressione ci toglie di torno tutte le camurrie di una vita normale: pulire, sistemare, andare al supermercato, andare al lavoro, ecc… .

Ad un certo punto però le persone che sostenevano, si stancano e il “non ti preoccupare” diventa: “basta, no ne posso più. Alzati”. Le persone cominciano ad allontanarsi ed il senso di solitudine diventa schiacciante.

A questo punto i pensieri che dominano la mente depressa sono: “gli altri sono stronzi. Io faccio schifo e sono inutile. Il mondo è un postaccio”.

La letteratura scientifica ormai è chiara. Per risollevare il nostro umore bisogna cominciare dal riattivare positivamente il nostro comportamento riprendendo piano piano in mano la vita. Basta cominciare anche con piccole passeggiate e dedicarsi a ciò che piace davvero fare senza dimenticare che anche le rotture di scatole fanno parte della vita.

Parte della soluzione è riorientare concretamente la mente al futuro conquistandosi nuove esperienze piacevoli in modo da non farsi schiacciare dal passato e dai suoi ricordi spiacevoli o malinconici.

Riprovare piacere effimero da quello che piace fare per il semplice gusto di farlo; e provare piacere da gratificazioni, cioè provare piacere dopo aver finito qualcosa che non volevamo fare è l’inizio.

Sul sito del ministero della salute puoi trovare delle notizia utili.

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