I fondi Europei, Statali, Regionali, Comunali, ecc… per lo sviluppo sociale permetterebbero di migliorare le cose. Troppo spesso però leggiamo che i fondi non vengono spesi per l’incapacità di presentare progetti. Altre volte, addirittura, leggiamo che vengono presentati progetti ma che vengono bocciati. Soprattutto in Europa. E certo. I nostri amministratori sono ancora convinti che basta sparare una cazzata che qualcuno ci crede e qualcosa arriva.
Fortunatamente non funziona più così, o quasi. Soprattutto ai livelli altissimi.
Mi piacerebbe darvi una bella notizia ed una brutta notizia. Prima la brutta: Per fare progettazione sociale servono gli psicologi, meglio se psicologi sociali. La buona è che gli psicologi ci sono.
Gli psicologi però hanno pochi amici e quindi la progettazione sociale, ad oggi, è nelle mani di tutti, soprattutto all’interno degli enti pubblici. Eppure, secondo me ogni progetto sociale dovrebbe essere firmato ed approvato da uno psicologo sociale per certificarne la validità e la fattibilità. Come un ingegnere firma un progetto edilizio.
Il ragionamento è semplice. Sociale uguale persone. Persone uguale comportamento. Cambiamento del comportamento uguale psicologi.
Mi piacerebbe quindi sensibilizzare al tema, magari divulgando un piccolo vademecum per cominciare a ragionare utilizzando utili logiche progettuali.
Tutti gli psicologi per diventare tali devono sostenere un esame di stato abilitante all’esercizio della professione. Una delle prove d’esame è il cosiddetto: “progetto”.
Per definizione un professionista è tale quando è capace di saper elaborare, suggerire e coordinare una soluzione specifica per un problema specifico. Per questo esistono gli ingegneri, gli architetti, gli altri professionisti e anche gli psicologi. Altrimenti saremmo dei tecnici o dei semplici operatori.
Chiariamo subito una cosa. Progettare non significa niente. Progettare cosa?
Noi psicologi progettiamo principalmente:
- Interventi organizzativi;
- Interventi sociali;
- Interventi individuali.
Con i nostri progetti prevediamo cambiamenti comportamentali. SEMPRE!
Proverò ad essere il più chiaro e sintetico possibile. Cominciamo dall’inizio.
Allora, si progetta seguendo sempre la stessa logica; per questo il formulario progettuale tipico è sempre lo stesso. Quello che davvero serve non è comunque il bel formulario da compilare, quello che serve davvero è la testa con tutte le sue conoscenze e la capacità di metterle insieme.
Un progetto decente dovrebbe articolarsi assecondando almeno le seguenti voci:
- Finalità;
- Premessa;
- Problematica (criticità);
- Obiettivi generali;
- Obiettivi specifici;
- Attività (azioni, o come volete chiamarle);
- Metodologia;
- Destinatari: diretti, indiretti e trasversali;
- Risorse necessarie (strutturali, strumentali, umane, economiche, ….)
- Tempi
- Risultati attesi
- Monitoraggio e valutazione
La finalità è la base. Non pensare cose complicate. La finalità è ciò per cui veniamo pagati. La finalità più generale possibile è quella di migliorare la qualità della vita della persona, della società o dell’organizzazione X.
La finalità risponde all’ultimo “perché”. Quando non ci sono più perché, quella è la finalità. Ad esempio: abbassare il tasso di dispersione scolastica è un obiettivo. Perché vuoi abbassare il tasso di dispersione scolastica? Per migliorare la qualità della vita (finalità).
Spesso però la finalità è quella suggerita dal bando. Non serve inventarla. La finalità è la domanda dell’ente XYZ.
Ad esempio, quando l’Associazione “ANTEPRIMA” ha vinto con il progetto: “immagine dal vero”, la finalità esplicitata era quella di favorire l’inclusione sociale dei soggetti in condizione di disagio; che tradotto significa “migliorare la qualità della vita”.
Tu entri in gioco quando cominci a pensare gli obiettivi.
Obiettivi che possono essere generali e specifici.
Facciamo finta che ti siedi da solo o con i tuoi colleghi o soci e cominci a pensare.
Come faccio a realizzare la finalità? Cosa devo modificare? Cosa possiamo fare per risolvere il problema? Qual è il problema?
Appena hai le idee chiare, scrivi in premessa tutto il tuo ragionamento: la tua analisi del fenomeno.
Poi scrivi pure le criticità che hai rilevato. Perché esiste il problema? quello che scrivi deve essere razionale e definito attraverso statistiche e studi validi. La tua opinione conta poco e anche quella di tuo cugino.
Ad un certo punto quindi puoi scrivere i tuoi obiettivi. I tuoi obiettivi sono definiti dalle VARIABILI sulle quali interverrai tecnicamente.
Tornando ad immagine dal vero ci siamo chiesti: chi sono i soggetti in condizioni di disagio? Perché esistono? Quali difficoltà vivono che inibiscono il loro processo di inclusione sociale?
Abbiamo risposto: i figli dei migranti sicuramente non se la passano benissimo e vivono difficoltà non trascurabili per il loro inserimento sociale. (naturalmente tutto argomentato bene). Quali possono essere le difficoltà, criticità, psicologiche che inibiscono il processo? Se l’integrazione è fatta da due parti, individuo e società; da quali fattori può essere ostacolata? Abbiamo pensato:
- nell’individuo, da un basso senso di autoefficacia, magari sta gente vede solo loro simili miserabili e pensa: “anche io sarò così”;
- nella società, alti livelli di pregiudizio diffusi nella popolazione sicuramente non favoriscono il processo.
Gli obiettivi allora sono diventati:
- Alzare il senso di autoefficacia nella popolazione migrante;
- Abbassare il pregiudizio nella popolazione autoctona.
Le attività sono tutto ciò che fai concretamente per realizzare i tuoi obiettivi. Devi chiederti: “cosa faccio? Cosa posso fare? Cosa devo fare?
Ricordati che tutto il tuo metodo, le cose che pensi, perché le pensi e perché le fai, devi scriverlo in metodologia. Ad esempio, vuoi risolvere il problema con la preghiera? Spero di no. Quindi potrai scrivere:
la metodologia utilizzata avrà un carattere scientifico. Sarà valida, attendibile e verificabile. Si farà riferimento al modello teorico di X e le sperimentazioni di Y.
Dopo di che per assecondare la metodologia strutturerai l’intervento vero e proprio nelle tue attività.
Ad esempio, sempre tornando ad immagine dal vero, noi ci siamo chiesti, allora, cosa facciamo per raggiungere gli obiettivi? Cosa possiamo fare per cambiare il maggior numero di persone col minimo sforzo?
Facciamo un FILM. Con il film “immagine dal vero” sono stati coinvolti immigrati considerati di successo e ben integrati in più parti della Sicilia. Lo spettatore che avrebbe visto il film avrebbe aumentato il suo senso di autoefficacia se immigrato, o abbassato il pregiudizio se autoctono. La logica metodologica era questa. Intervenire sulle determinanti del comportamento come gli atteggiamenti e le intenzioni senza trascurare le euristiche descritte da Khaneman: disponibilità e rappresentatività.
Se non l’hai ancora fatto prova a cerca su google: “immagine dal vero di Luciano Accomando”.
I destinatari puoi descriverli su 3 livelli. I diretti sono le persone che coinvolgi direttamente, quelli indiretti sono quelli che hanno a che fare con i diretti. I trasversali possono essere gli appartenenti a tutta la comunità o a tutta la società.
Quando pensi alle risorse non trascurare nulla. Cosa ti serve per fare quello che devi fare? Quanti soldi? Quali collaboratori? Quali strumenti? Test? Che luoghi e che spazi ti servono?
Come fai a monitorare l’andamento del tuo intervento? Cosa misuri? Mi raccomando, non far campare tutto in aria, definisci indicatori e indici di monitoraggio e valutazione ben definiti, osservabili e misurabili. Serviti, se esistono, di costrutti. Quando prevedi il buon esito dell’intervento? non trascurare niente. Di quanto pensi che modificherai le variabili obiettivo? Come intendi provarlo? Quali test utilizzerai?
In quanto tempo? Come intendi temporizzare l’intervento? Su fasi? Ci sono attività in parallelo?
E naturalmente non trascurare di descrivere i Risultati attesi e gli eventuali aspetti innovativi.