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Perché le persone ad un certo punto non si chiedono più: “che cos’è?”. Perché ad un certo punto le persone non si chiedono più: “perché?”. Viva le fake news. E pensare che prima erano semplici minchiate. Una volta ero piccolo ed ho sentito in televisione un tizio che ha detto: “Cazzo”. Subito chiedo a mia madre: “mamma, che significa cazzo?”.

E mia madre mi fa: “ha detto razzo”;

  • “che cos’è un razzo?”;
  • “Un razzo è un mezzo di trasporto che serve ad andare nello spazio”;
  • “che cos’è lo spazio?”;
  • “lo spazio è quella cosa tutt’attorno al nostro pianeta senza niente”;
  • “perché esiste lo spazio?”;
  • E mia madre chiude: “ha detto cazzo. Basta. Non ci rompere i coglioni”.

Questa era una vecchia barzelletta. Ma quanto è lontana dalla realtà? Forse troppo poco.

Ogni bambino cresce con una fortissima motivazione ad esplorare e capire. Eppure, i genitori che dovrebbero essere i primi ad incoraggiare questo bisogno, spesso non lo fanno. I genitori involontariamente possono insegnare ai figli che fare domande è inutile se non addirittura sbagliato. Possono insegnare, senza volerlo, che capire non serve. I bambini potrebbero pertanto imparare, che per il quieto vivere, è meglio non fare domande. Se quando facciamo domande, i nostri genitori si innervosiscono: figuriamoci gli altri.

Eppure capire è un bisogno primario della nostra mente umana. La nostra mente non ammette dubbi, si nutre di certezze, o meglio di informazioni che crediamo vere. La nostra mente è progettata per essere un contenitore di cazzate. Non si scappa. Ogni dubbio altera il nostro equilibrio emotivo e pertanto per ritornare alla serenità dobbiamo dare  al nostro cervello un’informazione. Se l’informazione trovata è abbastanza rassicurante la prendiamo per vera. In psicologia cognitiva ormai si ha una certezza: i nostri comportamenti ed i nostri pensieri sono determinati da tutte le credenze che ci riempiono.

Quante volte i nostri genitori ci hanno detto: “ok, domani andiamo alle giostre”. Quanto stavamo bene quando ce lo sentivamo dire. Sentircelo dire ci faceva stare addirittura meglio di andare alle giostre davvero.

Alcuni bambini invece, con genitori più disponibili, imparano fin da piccoli a poter fare qualche domanda in più, e ad approfondire. Altri bambini invece la curiosità dentro ce l’hanno talmente forte che sono loro stessi a non scoraggiarsi per alcune risposte poco soddisfacenti.

Mi ricordo quando una volta Margherita Hack ad un intervistatore ha risposto più o meno così: “guarda, non mi importa se la risposta non ce l’ho subito. Purtroppo l’idea di far risalire tutto a Dio non mi soddisfa”.

Probabilmente la Hack si situava nel versante opposto rispetto a quelli che si accontentano della prima risposta facile.

Un bell’esercizio da fare potrebbe essere quello dei 5 perché.

Ogni volta che ci chiediamo qualcosa. Proviamo a non accontentarci della prima risposta ma proviamo ad approfondire con un perché in più fino al quinto livello. Se c’è un problema, proviamo a chiederci perché quel problema esiste fino a rispondere a 5 perché.

Si può fare per qualsiasi cosa.

Ad esempio: “perché a Palermo la gente butta l’immondizia per strada?”. Perché è incivile. “perché è incivile?”. Perché prevale l’interesse individuale ed a breve termine piuttosto che l’interesse collettivo a lungo termine”. E perché prevale questo tipo di interesse? Perché la politica deresponsabilizzante non promuove condotte socialmente sostenibili ed utili. E perché non promuove comportamenti positivi? Perché perderebbe voti. E quali comportamenti potrebbero favorire processi di civilizzazione? Cosa dovrebbero dire i politici? Mandate i vostri figli a scuola. Già, sparando altrettante risposte facili abbiamo allenato la nostra mente a non fermarsi alla prima risposta. Qui abbiamo solo giocato. Sarebbe utile non accontentarsi del primo perché o del primo che cos’è. Di cosa è fatta una sedia? Di legno. Di cosa è fatto il legno? Di albero. E l’albero? Di molecole. E le molecole di atomi. Ecc… ecc…

Quando hai un problema e cerchi la causa, non fermarti alla prima. Trova con un altro perché, poi il perchè del perchè… e così via. Almeno 5 volte.

Oggi si dibatte addirittura della validità delle informazioni scientificamente valide. I più coglioni dicono addirittura: “anche gli scienziati si sbagliano”. Mi viene da ridere. È proprio questo il punto. Sbagliarsi è fondamento del metodo scientifico. Addirittura, un procedimento scientifico metodologicamente valido consiste nel tentare di dimostrare che quella cosa che si dice è falsa. Fino a quando non si dimostra che è falsa allora è vera. In nessuna scienza esiste la risposta definitiva. Esiste la risposta migliore con le conoscenze attuali. Ogni teoria è vera fino a quando non viene sostituita. È successo perfino a Newton con Einstein.

In automatico invece le persone cosa fanno. Pensano una cosa e cercano tutte quelle informazioni che confermano che quello che pensano è vero. Così la nostra mente sta bene. La fregatura è questa.

La nostra mente è predisposta a stare bene non a stare male. In automatico, la nostra mente ogni volta che pensa una cosa o ci propone di fare una cosa ce la propone per farci stare bene subito.

Sono alcolizzato? Bevi. Sei povero? Politici ladri. Sei contro i vaccini? Complotto contro l’umanità.

Invece le persone intelligenti sono quelle disposte a mettere in crisi la propria mente. Gli intelligenti sono proprio quelli disposti a soffrire per trovare una risposta più soddisfacente.

Ricordati, per stare meglio e trovare soluzioni più utili prova a risolvere almeno 5 perché; non ti accontentare.

Il lavoro che fanno alcuni psicologi è proprio questo. Spesso le persone stanno male perché hanno creduto per troppo tempo cose false, ingiuste ed inutili come se vere, giuste ed utili.

 

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