Il colloquio con i migranti:

Nel mio lavoro al CARA di Mineo ho avuto centinaia di colloqui con centinaia di richiedenti asilo. Da questi colloqui ad un certo punto ho cominciato a notare come alcune credenze potevano facilitare o ostacolare l’integrazione sociale dei richiedenti asilo ospitati. Mi sono quindi chiesto: “quali credenze, atteggiamenti ed intenzioni  erano condivise dalla maggior parte di loro? Cosa avrebbe favorito la loro integrazione? Cosa avrebbe potuto ostacolarla? Da quali variabili cognitive possono essere descritte e osservate? Come posso modificarle?

Quali credenze, atteggiamenti ed intenzioni non renderebbero la vita facile una volta ottenuto il permesso di soggiorno, fuori dal centro e nella vita vera?

Ho costruito una griglia d’osservazione multifattoriale con tutte le variabili intervenienti nella loro prestazione per l’integrazione.

Ricordiamo sempre che l’integrazione sociale è il processo attraverso il quale un individuo diventa membro di una società.

Se hai letto i contributi precedenti ci siamo già messi d’accordo sul considerare l’integrazione sociale una vera è propria prestazione individuale.

In questo modo ho cominciato a valutare il loro assetto cognitivo di base per l’integrazione.

Se non l’hai fatto, ti rimando alla sezione speciale dedicata all’integrazione. Qui puoi leggere gli altri contributi.

griglia osservazione integrazione sociale

griglia d’osservazione per il colloquio psicologico per valutare la potenziale integrazione sociale

Nella scheda sopra ho evidenziato quelle che sono le variabili intervenienti in modo funzionale nel processo per integrarsi socialmente attivamente.

Preciso che le variabili descritte valgono per ognuno di noi. Ognuno di noi per integrarsi nel miglior modo possibile nella società che abita agisce sulle variabili seguenti. Ognuno di noi può essere più o meno integrato o escluso socialmente. 

L’aspetto fisico, le abilità comunicative, il livello di consapevolezza del contesto, il senso di responsabilità, le preoccupazioni attive, il tipo di motivazione, le aspettative individuali, la fiducia attribuita al contesto ed il senso di autoefficacia; ed inoltre i disagi psicofisici in atto che possono inibire il processo e le risorse esterne possedute che lo possono facilitare.

Vediamole una per una.

L’Aspetto:

L’aspetto riveste un ruolo fondamentale per l’integrazione sociale e di inclusione lavorativa di ogni individuo in una società.

Ogni società esprime i propri valori anche attraverso dei canoni stilistici ed estetici condivisi.

Gli immigrati pertanto none sono esclusi.

Il loro aspetto è il loro biglietto da visita.

Considerando che gli immigrati di colore, hanno di fatto, un indicatore somatico che li pone, a parità di altre condizioni, in una posizione di partenza di svantaggio, almeno in Italia.

A parità di titolo di studio, di competenze, di caratteristiche psicologiche, chi ti sceglieresti come socio? Un bianco o un nero?

Ai colloqui pertanto mi capita di ricevere individui del tutto inconsapevoli di tali canoni, e soprattutto se nessuno glieli spiega, anche in società li trascureranno.

Ad esempio, banalmente, ci sono persone che non comprendono la differenza tra un pigiama ed una tuta; persone che trascurano il fatto che se indossano infradito in inverno e addirittura col temporale, verranno considerati eccessivamente bizzarri e disadattati.

Una formazione per l’integrazione non può pertanto trascurare un’educazione alla propria presentazione.

Aspetto curato, abbigliamento adeguato e un’igiene impeccabile saranno pertanto fattori necessari per l’inserimento sociale.

Educare a questo è fondamentale, prima di ogni altra cosa: eppure per imbarazzi o disinteresse è facilmente trascurato.

Nella mia griglia d’osservazione, l’aspetto si muove su un continuum che va dal non adeguato, praticamente disgustoso, all’ottimo.

La Comunicazione:

Le capacità comunicative degli immigrati ed il loro stile relazionale, a mio avviso sono, dopo l’aspetto, una necessaria risorsa per la loro integrazione.

Nella scala che va da 1 a 10, ho posizionato al centro, al punto 5, la capacità di comunicare adeguatamente almeno in una delle lingue europee maggiormente diffuse come il francese o l’inglese. Sotto il punto 5 chi invece ha non trascurabili difficoltà a farsi comprendere perché magari parla solo la lingua africana locale e della sua tribù. Dalla sufficienza in su troviamo invece gli individui che parlano italiano più o meno bene.

In fase di colloquio non ho potuto fare a meno di notare che l’apprendimento della lingua italiana è di fatto da molti trascurato.

Come se molti immigrati non comprendessero la necessità di parlare italiano per integrarsi in Italia. Probabilmente questo avviene perché il CARA di Mineo è una realtà, come già detto, ipercompensativa, in cui gli ospiti riescono a soddisfare tutti i loro bisogni senza esprimersi in Italiano.

Sempre in fase di colloquio noto che un numero non trascurabile di ospiti dichiara che l’intenzione di imparare l’italiano c’è, ma che lo faranno non appena saranno fuori dal centro e cominceranno a lavorare.

Altri, non sono consapevoli che in Italia, gli italiani parlano italiano e che nessuno li comprenderebbe così facilmente fuori, pur parlando correttamente inglese e francese.

Una buona percentuale delle persone che incontro, frequenta regolarmente le classi per l’insegnamento della lingua italiana organizzate dal CARA, ma la motivazione a frequentare i corsi non è intrinseca, non è: “voglio imparare l’italiano perché mi serve per vivere in Itala”. Molti frequentano le lezioni per ottenere il certificato di frequenza che a loro avviso verrà valutato positivamente per ottenere più facilmente l’eventuale permesso di soggiorno.

Le credenze false che motivano i comportamenti dei richiedenti non sono poche e le vedremo. Questa è una delle più diffuse.

La Consapevolezza del contesto ed i suoi livelli integrativi:

(dal locale all’internazionale: quartiere, città, regione, nazione, continente, mondo…).

Il grado e la qualità di consapevolezza posseduta circa il contesto è un fattore determinante per ottimizzare la prestazione per l’integrazione attiva. Se non so dove sono e cosa serve fare, cosa faccio? O la cosa sbagliata, o la cosa inutile, o la cosa giusta per fortuna.

Dai molti colloqui condotti, rilevo livelli di consapevolezza medi molto bassi.

I richiedenti non sanno perché sono al CARA, non sanno cosa sia esattamente la Sicilia, l’Italia o l’Europa.

In poche parole non sono consapevoli del contesto che abitano e che abiteranno. Quali sono le esigenze ed i bisogni della società.

In che modo possono esprimere il proprio valore. Cosa gli serve per poter esprimere il loro valore, ecc…

La risposta automatica alla mia domanda: “perché sei qui” è “per i documenti”.

Cioè, la società costruisce centri di accoglienza mastodontici, solo per distribuire carta? I centri in realtà servono per preparare gli immigrati ad abitare la nuova società in modo più consapevole.

La Responsabilità individuale:

La capacità di attribuirsi responsabilità circa i risultati raggiunti è un fattore necessario all’auto determinazione. Tecnicamente, il senso di responsabilità posseduto e definito “LOCUS OF CONTROL”.

Il locus of control o centro di controllo personale è la tendenza ad attribuire la causa dei propri successi o insuccessi a noi stessi e quindi al nostro controllo oppure a condizioni esterne e quindi poco o per nulla controllabili.

In genere le persone tendono ad attribuire i propri successi a sé stessi ed i propri fallimenti agli altri.

La maggior parte dei richiedenti asilo che ho incontrato hanno livelli bassissimi di responsabilità e pertanto tendono a subire passivamente le condizioni contestuali.

Tra le credenze più diffuse:

  • “Non imparo l’italiano perché la maestra non è brava”;
  • “Non ho i documenti perché la commissione è cattiva”;
  • “Non ho un lavoro perché il Job Center non me lo trova”;
  • “La mia vita sarà bella se Dio lo vorrà”;

Scopo dell’intervento sarà pertanto quello di attivare un maggior senso di responsabilità individuale circa la propria condizione.

Nella valutazione, al punto medio consideriamo un senso di responsabilità equilibrato tra esterno ed interno.

Ormai la letteratura scientifica ha descritto molto bene come individui a parità di condizioni di partenza raggiungono risultati ben diversi tra loro sulla base della loro responsabilità percepita.

Chi possiede un Locus of Control eccessivamente esterno tenderà ad oziare o a rassegnarsi alla propria condizione poco desiderabile.

Le Preoccupazioni:

  • “come stai?”;
  • “bene”;
  • “sicuro?”
  • “si”;
  • “bene, bene, bene?”
  • “si, è tutto ok”;
  • “C’è qualcosa che ti preoccupa?”
  • “No”.

Questa è una parte del colloquio tipica. Ma secondo voi, una persona che vive questa condizione cognitiva, come si comporta?

Ciò che ci attiva nella nostra quotidianità sono le nostre preoccupazioni: piccole o grandi che siano.

Ogni nostro comportamento è un piano finalizzato a riportare a livelli adeguati il nostro stato emotivo. Ogni nostro comportamento è un piano per risolvere problemi. Quando non abbiamo per molto tempo preoccupazioni ci annoiamo.

La noia è infatti una condizione emotiva diffusa all’interno degli utenti del CARA.

Inoltre se qualcosa ci preoccupa è importante fare una corretta valutazione sulle nostre responsabilità per attivarci.

Quando invece proseguo, la preoccupazione più diffusa è: “ voglio i documenti” con un’attribuzione causale del tutto esterna alla propria competenza.

Significa: “il mio problema sono i documenti ma io non posso fare niente per averli prima: al massimo posso protestare”.

Con il mio intervento trasmetto quindi anche preoccupazioni. I richiedenti asilo hanno molti problemi e la soluzione dipende prevalentemente da loro: “sono mal vestiti, non parlano italiano, hanno livelli molto bassi di competenze, non conoscono la società che abiteranno, ecc…”.

Alcuni dicono di voler fare gli autisti in Italia ma non sanno che gli serve una patente.

Responsabilità e Preoccupazioni sono molto collegati tra loro.

  • “cosa ti preoccupa?”;
  • “da chi dipende?”.

La Motivazione:

La motivazione è quella energia psicologica che incentiva e da un senso al comportamento. Dalle osservazioni effettuate, un numero non trascurabile di ospiti ha una motivazione prevalentemente estrinseca. Questo tipo di motivazione attiva il comportamento grazie a ricompense tangibili esterne e risponde a pensieri sintetizzabili in: “lo faccio perché devo. Lo faccio perché è giusto”; ne sono chiari indicatori dichiarazioni del tipo: “lo faccio per l’attestato e per i documenti”. Emerge inoltre quando è finalizzata ad evitare punizioni sia positive che negative: ti do una cosa che non ti piace o ti tolgo una cosa che ti piace.

La motivazione intrinseca, ancorata ai valori, è invece durevole e più produttiva a lungo termine. Risponde a pensieri del tipo: “lo faccio perché mi piace. Lo faccio perché lo voglio.

Inoltre, la motivazione a fare qualcosa è determinata da due condizioni: dal desiderio di riuscita e/o dall’evitamento.

Facciamo qualcosa perché vogliamo farla davvero o perché magari non vogliamo farne un’altra?

Lavoriamo con i migranti perché vogliamo lavorare con i migranti o perché non vogliamo fare un altro lavoro o non troviamo altre possibilità? I migranti si trovano in Italia perché vogliono vivere in Italia o perché non vogliono vivere dove sono nati?

Sembrerà una banalità ma la qualità ed il tipo di motivazione non può essere trascurata, al fine di valutare accuratamente l’integrazione potenziale.

Quando chiedo agli utenti: “vuoi vivere in Italia?”;

uno su cento risponde di no, praticamente tutti rispondono in modo affermativo. Ma perché?

Quando chiedo: “perché”; pochissimi rispondono: “perché l’Italia mi piace davvero. Apprezzo i suoi valori, le persone, ecc…Lo desidero tantissimo”.

Le risposte sono basate o sul senso di riconoscenza: “perché l’Italia mi ha salvato”;

O sull’evitamento: “perché devo lavorare, voglio un lavoro e nel posto X dov’ero non c’era”.

Questo cambia tutto. Un migrante che è qui perché non poteva vivere li, dentro di sé sarà sempre orientato al passato ed ancorato a quello che ha lasciato. La speranza per il futuro sarà sempre orientata al ritorno. Un migrante con un’adeguata motivazione sarà orientato al futuro e a spendersi per collaborare nel migliorare la nostra futura società condivisa ed a realizzare in modo inedito la propria vita.

Sfido un ex Italiano ben integrato negli Stati Uniti ad invitarlo a tornare in Italia, non lo farebbe mai.

Così sarà per i nostri nuovi concittadini.

Attraverso le attività provo quindi a trasformare una cattiva motivazione in una buona motivazione. Devo ammettere che quando cambia questo tipo di consapevolezza, cambia davvero tutto.

Le Aspettative:

Le aspettative ci tirano verso loro. Cosa vogliamo dalla vita? Dalla nostra famiglia? Dalla nostra società? Cosa ci aspettiamo?

Le nostre aspettative sono subordinate alla nostra capacità di sognare e di progettare la nostra vita.

I migranti con cui ho il piacere di colloquiare, raramente esprimono capacità progettuali necessarie a costruire la propria vita in questo continente.

Comprendo che in Africa la vita segue un ritmo giornaliero. Ogni giorno segue al precedente. Questo avviene anche per molti europei ma ogni europeo dentro di sé qualche obiettivo a lungo termine ce l’ha sempre. Quantomeno una speranza. Le aspettative danno un orizzonte che quantomeno proveremo a raggiungere. La capacità di pianificare i nostri obiettivi dà senso alla nostra giornata.

Quando chiedo: “ma tu, dall’Italia, cosa vuoi; cosa ti aspetti”.

Le risposte sono incomplete e confuse. Voglio un lavoro non basta. Il lavoro se non è di supporto all’identità non è un progetto, non è un fine, è solo un mezzo.

Altre volte le aspettative sono completamente assenti, altre volte sono del tutto irragionevoli: “io non voglio niente” o “io voglio fare il calciatore”.

La Fiducia:

La fiducia attribuita ai fattori esterni è una condizione necessaria per emettere ogni tipo di comportamento.

Se facciamo qualcosa, per ottenere qualcosa da qualcun altro dobbiamo prima di ogni cosa credere che quel qualcuno ci ricompensi adeguatamente se raggiungiamo gli obiettivi che ci sono stati preposti.

Quando facciamo qualcosa per ottenere una ricompensa, dobbiamo prima di ogni cosa desiderare quella ricompensa lì, poi dobbiamo credere di poterci riuscire ma non in ultimo dobbiamo credere che se rispettiamo il compito verremo premiati.

Ad esempio una classica raccolta punti ruota intorno a questi tre requisiti. Voglio il regalo? Penso di riuscire a raccogliere tutti i punti in tempo? E se lo faccio, l’azienda mi spedisce il regalo?

Lo stesso vale per l’integrazione.

Voglio integrarmi? Se mi impegno al massimo, la società che mi dice che devo integrarmi, rispetterà le promesse? Ma cosa significa per me integrazione? Voglio ottenere concretamente le ricompense di questa integrazione? Quali sono le ricompense?

Dai colloqui che faccio, emergono spesso alti livelli di fiducia attribuita.

Alti livelli di fiducia attribuita potrebbero essere controproducenti nel processo di integrazione attiva.

Quando abbiamo altissimi livelli di fiducia potremmo anche credere che facendo il minimo indispensabile le nostre mancanze verranno compensate dall’esterno. Come quando un genitore acconsente alle richieste dei propri figli anche quando gli stessi non rispettano le richieste genitoriali: “se prendi 8 al compito di matematica ti faccio un regalo”. E poi il regalo viene fatto lo stesso con un’insufficienza. Oppure quando un insegnante da voti alti a prestazioni scadenti.

In questo modo, il bambino impara che anche senza impegnarsi così tanto per raggiungere gli scopi, in qualche modo qualcuno compenserà.

Qualcosa di simile potrebbe avvenire nel processo di accoglienza dei richiedenti asilo.

Alcune persone che ho incontrato credono che la vita in Italia sia davvero facile.

Il Senso di Autoefficacia:

Il senso di autoefficacia, è una credenza generativa derivante dalla sensazione di essere competenti nell’eseguire compiti specifici in contesti specifici.

Credo di saper fare il padre. Credo di saper andare in Canoa. Credo di saper suonare la chitarra. Quando noi ci apprestiamo ad un compito nuovo, sulla base delle risorse disponibili e sulla base delle richieste ambientali, il nostro senso di autoefficacia agisce sulla prestazione finale. Ma c’è un piccolo errore.

Non sono le risorse disponibili e le richieste ambientali che determinano la prestazione; ma la nostra percezione sulle risorse che crediamo di possedere e la nostra percezione delle richieste ambientali. Se pensiamo che le richieste ambientali sono basse e le nostre risorse/competenze alte allora il nostro senso di autoefficacia sarà alto.

Il senso di autoefficacia alto è una molla necessaria all’attivazione comportamentale, perché quando crediamo di essere totalmente incapaci a fare qualcosa allora quel qualcosa nemmeno proviamo a farlo. Ma dai colloqui che faccio, spesso emergono sensi di autoefficacia irragionevolmente davvero alti.

La difficoltà del compito viene sottostimata e le proprie capacità sovrastimate e questa relazione determinata inattività comportamentale: “lo posso fare in qualsiasi momento. Sono pronto”.

Se penso che appena esco dal centro la vita sarà altrettanto facile perché io sono bravo e la società eccessivamente buona, perché intanto dovrei imparare l’Italiano?

Ad esempio, non è raro che qualcuno dica che in Italia farà l’autista.

Alcuni in Africa erano davvero autisti e magari guidavano camion già a 14 anni. Ma come sappiamo in Italia le cose sono un tantino diverse.

Le loro credenze, determinate dalla loro storia di apprendimento sono però diverse. Se Tizio ha imparato che in Africa faceva l’autista a 14 anni, perché dovrebbe credere che in Italia non potrà farlo?

Noi siamo il risultato di tutte le nostre esperienze. Le esperienze ricompensate tendiamo a ripeterle; quelle punite tendiamo ad evitarle.

Non è automatico capire che cambiando contesto cambiano anche le ricompense. Perché noi siamo il risultato di tutte le nostre esperienze in contesti relativi, non in contesti assoluti.

Disagi psicofisici in atto:

I disagi psicofisici in atto sono variabili che ostacolano l’integrazione.

Comprendere perché è facile.

Se ho problemi di salute duraturi, se il mio corpo non è perfettamente efficiente e se la mia mente non soffre di disagi costanti come faccio a concentrami su quello che devo fare per costruire il mio nuovo futuro?

Prima di ogni cosa penso a risolvere i miei problemi in atto.

Inoltre, se ho una disabilità irreversibile, come faccio ad avere le stesse prestazioni di uno che quelle disabilità non le ha?

Se sono sordo, come faccio ad integrarmi adeguatamente?

Sicuramente è un po’ più complicato.

In caso di disagi importanti, oltre all’handicap linguistico-culturale si vanno a sommare altri fattori difficilmente compensabili dall’esperienza.

Risorse Esterne:

Se fino adesso abbiamo analizzato quali fattori individuali potrebbero facilitare o ostacolare l’integrazione degli migranti nella nostra società; non dobbiamo trascurare che lo stesso processo può essere agevolato dalle risorse disponibili esterne all’individuo. Ad esempio, risparmi monetari e relazioni sociali pregresse agevolano l’inserimento degli individui in qualsiasi società.

Trasferirsi a Londra con un po’ di risparmi da qualche amico che vive già lì da un po’ che ci ospita per il periodo iniziale, rende le cose più facili che andare a Londra da soli e senza un soldo.

Adesso se sei uno psicologo, anche tu puoi fare il tuo colloquio con i migranti :) .

 

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