INTEGRARSI SOCIALMENTE

Parte 1: prestazione, competenze, atteggiamenti e intenzioni;

Parte 2: i fattori facilitanti l’integrazione della società;

Parte 3: i fattori facilitanti l’integrazione dell’individuo (prossimo contributo)

Integrarsi è un comportamento.

Se non sai che questo contributo fa parte di una categoria speciale del sito ti consiglio di cominciare da qui. Dalla puntata Zero.

Qui invece proviamo a capire cos’è l’integrazione

Se sei un operatore del settore, ti suggerisco di leggere attentamente perché prima di promuovere comportamenti finalizzati all’inclusione sociale è necessario che tu capisca cos’è un comportamento.

Ogni comportamento è una prestazione e la prestazione è l’esito di competenze.

In psicologia del lavoro, ovvero quella parte della psicologia che studia come migliorare la propria performance lavorativa, si è ormai compreso che:

Una competenza è la capacità di mobilitare risorse specifiche in un contesto specifico per raggiungere un risultato specifico.

Non è quindi quello che intendiamo banalmente con “una competenza è quello che sappiamo fare”. Per questo intendo l’integrazione sociale come una vera e propria performance con finalità sociali.

Quando facciamo una torta dobbiamo essere capaci di mettere insieme tutte le risorse necessarie: dal nostro corpo, agli ingredienti, alla ricetta, ai fornelli, ecc… .

Fondamentale: la risorsa più importante che ti serve, SEI TU!

Ogni prestazione presuppone risorse eterogenee e complementari tra loro.

Le risorse non sono pertanto e banalmente solo le risorse economiche come siamo portati a pensare, anzi, alcune proprio non si possono comprare.

Nelle famose e ormai banalette lezioncine manageriali i formatori dicono sempre: “c’è il sapere e c’è il saper fare”. Ma non basta. Per fare non basta sapere fare, è necessaria anche la motivazione (lo voglio fare) e anche se lo so fare, lo faccio e lo voglio fare, magari quel comportamento non assume lo spessore di un comportamento identitario.

Magari conosco una bella ricetta per fare la torta, sono motivato a farla e dopo un po’ di tentativi sono davvero riuscito a farla bene. Tutto questo comunque potrebbe non fare di me un cuoco e non mi ci sento.

Questo è uno dei principali problemi dell’integrazione, se la nostra identità non assume uno spessore collettivo non sentiremo mai quel sentimento che ci farà assumere anche un’identità sociale desiderata e riconosciuta. Magari sono un ottimo cittadino, ma senza senso di appartenenza rimango un cittadino a metà. Come chi, pur andando a messa ogni domenica ma dentro di sé non ha fede, non sarà mai un cattolico. Magari va a messa solo per obbedire ad una qualche norma morale.

Tra gli studi del comportamento, ne figura uno a mio avviso significativo.

Ogni comportamento ha inizio sempre in un atteggiamento.

Un atteggiamento è la predisposizione o rifiuto manifestato verso qualcosa: nella nostra mente si traduce in una potenziale motivazione verso qualcosa o contro qualcosa. Ad esempio mi piace il gelato e non mi piacciono gli africani. Così ho un atteggiamento positivo verso il gelato e negativo verso gli africani.

Ma prima che l’atteggiamento diventi comportamento è necessaria l’intenzione di agire quell’atteggiamento specifico.

Mi piace il gelato, voglio mangiarlo ho intenzione di andare a comprarlo. Atteggiamento, intenzione e comportamento, troppo spesso subiscono comunque delle interferenze. Prima che si verifichi il comportamento può intervenire la norma collettiva.

Mi piace il gelato, vorrei mangiarlo ma cosa penserebbero gli altri? Sono già in sovrappeso.

Non mi piacciono gli africani, credo che sono pericolosi. Non li salverei, ma se lo dicessi esplicitamente mi farebbe apparire razzista. La norma collettiva pertanto accelera o rallenta praticamente tutti i nostri comportamenti.

Anche la società si comporta allo stesso modo ogni qual volta i suoi comportanti fanno i conti con l’opinione pubblica. In questo periodo storico Italiano, oltre alla modificazione degli atteggiamenti, sta avvenendo una vera e propria modificazione della norma collettiva che non ostacola più l’espressione di determinati atteggiamenti discriminanti.

Questo è il motivo per il quale sentiamo un po’ più spesso di atti razzisti veri e propri.

I fattori facilitanti l’integrazione sociale nella e della Società:

ricordiamoci che l’integrazione sociale non riguarda solo gli immigrati. Riguarda tutti. Ogni individuo può essere può avere vari livelli di integrazione nella società che abita o esserne totalmente escluso.

I fattori che in una società favoriscono l’integrazione dei suoi abitanti sono fisici, economici e psicologici diffusi.

Se una società dispone di territori sterminati e importanti materie prime da estrarre, trasformare e vendere, probabilmente sarà maggiormente facilitante rispetto ad una società sovraffollata e senza adeguati territori.

Una società senza debito pubblico, probabilmente avrà maggiori risorse da destinare all’accoglienza e all’inserimento socio-lavorativo.

Il problema è che i fattori raramente sono percepiti come fatti, ogni volta che un essere umano ragiona sui fatti, inevitabilmente li interpreta e successivamente li giudica. Ogni volta che un fatto viene giudicato le nostre emozioni si attivano. Per tenere a bada ragionamenti complessi e sotto controllo le nostre emozioni, ci serviamo dei pregiudizi. Questo sarà un capitoletto a parte.

Facciamo un bell’esempio:

Arrivano mille migranti in Italia. Questo è un fatto. Immediatamente però seguono interpretazioni del fatto.

Ogni interpretazione si costruisce attraverso enunciazioni di Se… ed  Allora…

Se arrivano 1000 mille migranti allora siamo in pericolo. Dove li mettiamo? Ci stanno invadendo. Non c’è lavoro per noi, come faremo? Tutta l’Africa non c’entra in Italia. (INTEPRETAZIONI).

Non va bene. È pericoloso. (GIUDIZIO).

In questo modo si genera, ansia sociale, paura. Rabbia per la voglia di difendere quello che si potrebbe perdere. Il significato cognitivo delle emozioni è comunque un altro libro.

Oppure, un altro esempio con lo stesso fatto:

Se arrivano mille migranti, allora significa che se non partivano morivano. L’Europa li ha sempre sfruttati. (INTERPRETAZIONE).

È un’ingiustizia. Loro sono vittime. (GIUDIZIO)

Tristezza e senso di colpa le emozioni che seguono.

Ciò che inoltre attiva in modo estremo il nostro modo di provare emozioni non è solo il modo di interpretare gli eventi, ma l’intensità con la quale percepiamo il loro impatto.

Il giudizio e quindi l’emozione sarà tanto più estrema quanto il nostro modo di pretenderli.

Se per me i migranti non devono assolutamente venire perché sono assolutamente pericolosi, allora la frustrazione derivante da questo schema cognitivo ed il conseguente senso di catastrofe sarà intollerabile. Per questo la reazione sarà estrema.

Se la mia mente mi dice: stai attento perché i migranti non devono assolutamente arrivare. Sono pericolosissimi. Se continuano ad arrivare l’Italia sarà distrutta (catastrofe) allora l’attivazione emotiva sarà estrema: ira, disperazione e angoscia.

Se invece la mia mente mi dice: non è il caso di sottovalutare la situazione, continuando ad assecondare questi flussi senza un programma sostenibile, non sarà facile fronteggiare le eventuali crisi socio-culturali.

Allora la mia attivazione emotiva non sarà estrema ma si tradurrà in preoccupazione ed una leggera irritazione.

Gli atteggiamenti maggiormente diffusi si traducono pertanto in opinioni pubbliche e mandati politici.

A prescindere dalle reali risorse disponibili in una società, ciò che è davvero determinante saranno pertanto tutti i fattori psicologici della sua popolazione.

Gli esseri umani non agiscono sulla base di ciò che è vero ma molto più spesso sulla base di ciò che credono vero.

Nella prossima puntata proveremo a capire quali sono i fattori facilitanti ed ostacolanti i comportamenti utili all’integrazione sociale nella nell’individuo.

 

Per rimanere automaticamente aggiornato dei futuri contributi, ti inviterei a mettere mi piace alla mia pagina facebook, cliccando qui, o alla fine di questa pagina in basso.